Itinerario cicloturistico

54,87 km
3/4 ore

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In bici tra due imperi

In treno con due Imperatori? Imperatori sì, ma quali?
Vabbè, è una boutade, ma con un fondo di verità.

La bella ciclabile, che imbocchiamo esattamente dietro quel magnifico monumento a strati che è la Basilica di Aquileia, corre proprio sul sedime di una ferrovia Imperial Regia, che portava nobili e borghesi austriaci in vacanza verso Grado. Non c’è solo la contemplazione del paesaggio: i viaggi sono anche la mente del viaggiatore, le sue conoscenze, le sue emozioni. Spingendo lo sguardo indietro nel tempo, oltre l’attuale ordinata geometria dei campi, immaginiamo di essere nel IX secolo.

Il bosco dell’anno 800 si è mangiato la centuriazione romana e tra querce, frassini e ontani, che oggi non ci sono più, potremmo incontrare nientemeno che Carlo Magno che caccia assieme ai suoi cavalieri. Infatti con l’arrivo dei Longobardi, nel 568, si produsse una frattura storica che decretò l’esistenza di due mondi diversissimi, lasciando nelle architetture i segni di questa faglia temporale e culturale. Infatti i Cavalieri del Nord, Longobardi, Franchi e poi gli Asburgo, per farla breve, si fermarono davanti all’insidiosa laguna di Grado. Non avevano conoscenze marinare e Grado, a soli cinque chilometri dalla costa, finì per navigare in acque veneziane e bizantine: l’Aquila dell’Impero del Nord di fronte al Leone di San Marco e all’Impero d’Oriente. Quindi, i due Imperatori che viaggiano sul treno che fu, sono quelli di Costantinopoli e dell’Impero: ma è solo una finzione per comprendere come mai ad Aquileia si trovino ancora austeri palazzi dai nomi austriaci e a Grado, dove arriveremo tra poco, ci si possa perdere in un dedalo di calli dall’evidente DNA veneziano. La Storia che si fa urbanistica e architettura, insomma. La traccia GPS, quattro chilometri dalla partenza, piega a destra e vi invita a procedere lungo una bella strada bianca. In fondo, la silhouette di una pineta. Il luogo è suggestivo, pieno di storia e soprattutto di leggenda. La pineta e la chiesetta di San Marco sorgono su una delle poche dune fossili, cioè fissate dalla vegetazione che ne ha evitato il dissolvimento, sopravvissute alle bonifiche. Questo modesto rialzo esisteva già ai tempi dei romani, come comprovano dei rinvenimenti archeologici. Lo sguardo sulla laguna è emozionante, specie al tramonto. La chiesetta settecentesca e il piccolo cimitero infondono un senso di pace. Storia e leggenda, dicevamo: la tradizione vuole che qui sia approdato l’ebreo cristiano San Marco, proveniente da Alessandria d’Egitto, per evangelizzare il territorio. Tre chilometri e mezzo il costo lordo della deviazione dalla ciclovia, che potete evitare tirando dritto verso Grado.

Ma eccoci a Grado, dopo aver percorso il ponte di cinque chilometri che attraversa la laguna.

Quasi una pedalata sull’acqua, con, alla nostra sinistra, il santuario di Barbana e la sua cupola che vi si specchiano. Se la parte nuova di Grado ha poco da dire dal punto di vista architettonico, il nucleo storico è pieno di suggestioni, con la sua architettura spontanea e le sue calli, con immagini sacre e altarini devozionali ai crocicchi. E poi i porticati, le piazzette con alberi secolari e, naturalmente, ristoranti e osterie per tutti i gusti. Ma anche qui ci sono due eccellenze: la basilica di Sant’Eufemia – guarda caso una martire diciamo così bizantina – e la chiesetta, preziosa di marmi greci, di Santa Maria delle Grazie, ambedue paleocristiane, risalenti al VI secolo. Non perdetevele.

Uscendo da Grado, una ciclabile ci conduce verso il ponte di Primero, che scavalca uno dei canali d’ingresso della laguna. Dopo il ponte, la ciclovia piega a destra, costeggiando la Valle Cavanatta, area naturalistica. Siamo nella bonifica della Vittoria: qui, nel secolo XIX, c’era un’area di paludi e casoni di pescatori, prosciugata nel 1933. Oggi, grazie a un argine di bonifica che impedisce al mare di riprendersi le coltivazioni, ci si ritrova a pedalare in una posizione sopraelevata e privilegiata: a destra la superba vista sull’Istria e sul golfo di Trieste (che si vede nitidamente, un presepe lontano sotto il Carso), e a sinistra i campi, tutti sotto il livello del mare. Giungiamo in località Caneo, una distesa di canne palustri, d’inverno dorate, che il vento fa rabbrividire come la pelle di un felino. Il minuscolo villaggio di Punta Sdobba, affacciato sul fiume, a cinquecento metri dal ristorante Caneo, lascia incantati: piccole case, un porticciolo tuttora attivo, e una vista sulla foce azzurro-turchese dell’Isonzo, sul Carso e su Trieste sono altrettanti gioielli da assaporare nel silenzio. Dopo aver seguito la strada che costeggia l’argine dell’Isonzato, affluente di destra dell’Isonzo, svoltiamo a destra sulla SP19. Abbiamo due alternative: o proseguire per due km oltrepassando il ponte sull’Isonzo e svoltando poi a destra fino ad arrivare all’Isola della Cona, area naturale protetta (dieci chilometri in più), o svoltare a sinistra dopo cinquecento metri per raggiungere Isola Morosini, “flava di paschi e cesia di stagni”, come la definì D’Annunzio che ne restò incantato. È un borgo silenzioso, con molte case abbandonate, acque di risorgiva e senza niente di spettacolare se non la sua quiete e i suoi splendidi platani. Da lì fino a San Lorenzo di Fiumicello ci sono meno di cinque chilometri di strada tranquilla. Qui, nella chiesetta del ‘500, c’è un altro gioiello minore: un severo Compianto sul Cristo morto di Carlo da Carona, sec. XV: solo per gli appassionati, mi raccomando.

Poco meno di cinque chilometri di ciclabile e siamo di nuovo davanti alla Basilica.

Probabile che arriviate al tramonto, quando gli ultimi raggi caramellano la Basilica di tinte calde e rosate. E perché non bersi un buon vino friulano, seduti nel bar lì di fronte, facendo andare la moviola della giornata che vi ha portato attraverso Imperi, lagune, mare e Storia?