Itinerario cicloturistico

9-6 km
20/30 minuti

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In bici tra alte vette

Un concerto gotico di guglie, di spuntoni, un’orografia aspra e scabra che sembra l’elettrocardiogramma di un cuore in fibrillazione o una fuga barocca per clavicembalo. E poi c’è il dispiegarsi scenografico dei Monfalconi che sembrano mordere l’azzurro del cielo con i loro denti di pietra.

Il colpo di teatro più impattante lo si ha salendo da Forni di Sotto quando, ad un certo punto, ti si para davanti questo ventaglio di meraviglie dolomitiche. Le guide, per loro natura, sono tenute a tenersi più dal lato del didascalico, dell’enumerativo e del descrittivo. Ma, in queste montagne, c’è qualcosa cui la descrizione non riesce a tener dietro: dobbiamo fidarci più dei nostri occhi, e dell’emozione che ci colloca in quella dimensione in cui le parole sì, contano, ma dove è forse meglio lasciarsi trasportare da quel sentimento che è difficile esprimere. È un mondo più per scalatori, camminatori ed escursionisti. Gli altri quattro percorsi ciclistici attorno ai siti Unesco si snodano in pianura: come a dire che si può andare come il vento, nella direzione che vogliamo. Invece, in questa situazione orografica, la bicicletta deve adattarsi ai fondovalle, o inerpicarsi lungo i sentieri, spesso prodighi di pendenze oltraggiose, che da Forni di Sopra risalgono verso le malghe o verso il rifugio Giaf dove, un po’ prima di voi, arriverà la vostra lingua, oh ciclisti. La direzione obbligatoria del primo facile percorso è a nord-ovest, verso il Passo della Mauria, storicamente importante perché mette in comunicazione la Carnia con il Cadore. Se voleste discendere la Valle del Tagliamento, verso Ampezzo, purtroppo, v’imbattereste in un ostacolo superabile ma pericoloso. Si tratta di un tunnel di più di due chilometri, costruito senza un adeguato spazio per le bici. Io non so se avrei il coraggio di percorrerlo, ma ho il senso di responsabilità di sconsigliarlo. La vecchia strada che il tunnel sostituisce è bella, in buone condizioni e viaggia sulla Valle del Tagliamento, ma un certo punto è bloccata da barriere e blocchi di pietra. Un peccato, sarebbe una miniciclovia che a noi pedalatori piacerebbe molto.

Quindi, via verso lo storico Passo della Mauria. Da Forni di Sopra (la partenza è da Vico, cioè dal centro dove c’è il Municipio) al passo ci sono poco più di nove chilometri di salita. È una pedalata nella natura, circondati da boschi di aghifoglie, su un’asfaltata che non è certo un sentiero boschivo, ma che in compenso ha una pendenza che arriva al massimo al 4,4%. E in più la vista delle Dolomiti attenuerà, se ci dovesse essere, quel po’ di fatica che tocca spendere prendendo quota. Il Tagliamento è uno dei fiumi in Europa il cui corso è libero fino al mare, senza dighe o altri manufatti che ne alterino il flusso delle acque. Bene, la sorgente è proprio lì, a fianco della strada. Sul piazzale che si trova al passo della Mauria, potrete decidere se tornare indietro o lanciarvi in discesa verso il Cadore: Lozzo, Lorenzago, Domegge, Calalzo e Pieve di Cadore, vicino all’omonimo lago. Il ritorno, una bella salita, è consigliato solo ai polpacci allenati.
Sempre che non siate e-biker o dei ciclisti duri e puri, la salita al rifugio Giaf, aperto solo d’estate e lodatissimo per accoglienza e cucina, è breve ma, per quanto riguarda la pendenza, penitenziale. Per completare i cinque chilometri fino alla meta ci sono ben 600 metri di dislivello, con tratti oltre il 15%. Il fondo è dapprima asfaltato, poi lastricato e infine si procede su uno sterrato. Il tutto in mezzo al bosco, con rincuorante vista sulle Dolomiti. Dopo il meritato ristoro al rifugio Giaf, la prudenza: pendenze e rettilinei fan venir voglia di andare a manetta, ma ricordatevi che si prende velocità in un batter d’occhio. E freni a posto!

Non solo bici: il paese è un libro di architettura montana, nobile e rustica allo stesso tempo. Le note del legno rendono affascinanti le grandi case dal tetto spiovente.

Sono soprattutto i ballatoi, che scandiscono i vari piani, a dare un sapore particolare alle viuzze di questo paese. D’estate sono una sinfonia di fiori, e anche i fiori sono un segno: significano che qui la gente ci vive ancora, a differenza di altri paesi carnici che si sono svuotati. Qui la vita continua, non ha subito interruzioni, anche se una perdita demografica c’è stata, ma minore che altrove.

C’è una cosa da non perdere, e mi riferisco alla chiesetta di San Floriano, che si trova di fronte alla parrocchiale, a Cella. Al suo interno ci sono due gioielli. Il primo è l’abside affrescata da Gianfrancesco da Tolmezzo, un pittore periferico che aveva però saputo raccogliere le suggestioni del Rinascimento, traducendole in un linguaggio popolare e colto allo stesso tempo. Gli affreschi sono ben conservati e mi pare affascinante che uomini e donne che non sapevano l’alfabeto potessero leggere queste storie per immagini. Il secondo non è da meno, anzi. Si tratta di una vivacissima pala d’altare di Andrea Bellunello, con otto riquadri comprese le cimase, un’opera d’effetto e di pregio. In essa convivono la parlata artistica popolaresca, gli influssi della cultura rinascimentale e quella grazia da miniaturista che il pittore apprese a Venezia, stando a bottega dai grandi Vivarini.

Per chiudere in bellezza, bisogna ricordare che questo è un paese dove si mangia e si beve bene e, siccome questa non è una guida Michelin, non daremo consigli, lasciando a voi il piacere delle scoperte enogastronomiche.

I ristoranti, le trattorie, le birrerie, le enoteche sono numerose e, per la loro vivacità e successo, si difendono anche senza il patrocinio dell’UNESCO. Non ne hanno bisogno, per fortuna loro e nostra.