Itinerario a piedi

10 km
2:20 ore

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A piedi tra grandi saggi e verdi eroi

Quando cammino mi chiedo cos’è l’indispensabile. Quel qualcosa di essenziale che concentra e cura. Come l’aria che respiro.
Trovo indispensabile camminare vicino agli alberi.

C’è un itinerario che amo fare d’estate per rivolgere lo sguardo alle piante quando sono più rigogliose. Posso fare lo stesso percorso mille volte e scorgere sempre qualcosa di nuovo. Camminare vicino agli alberi è raccolta di aria buona. Nel piccolo Comune di Erto e Casso, uno dei comuni delle Dolomiti Friulane, che è conosciuto per la sua storia tragica e di dolore, esiste una strada che viene chiamata per comodità “di là del lago”. Lasciato il percorso principale, si può fare il giro di quello che è rimasto del Lago del Vajont. È un’unica carreggiata che a tratti si restringe, inoltre ci sono diverse gallerie brevi non illuminate. “La strada degli alberi” inizia dal comodo piazzale verso la diga, dove lascio l’auto, evitando così la statale. Proseguo a piedi con la pila frontale al seguito, uno snack, dell’acqua e una macchina fotografica. Siamo in montagna, ogni uscita, anche quella più semplice, va accuratamente organizzata. Durante il viaggio, mi prendo il tempo per osservare, per accedere alla Natura con i ritmi lenti che piacciono tanto anche a lei. Mi ritaglio un momento di passeggiata silenziosa. Vado a trovare gli alberi. L’ho sempre fatto fin da piccola. Li prendevo come punti di riferimento. Lo scrive anche Erri de Luca in un bellissimo racconto che si intitola “Visita un albero”. Guardandoli mi invento le loro storie. Mi avvolgono in una magia: me li immagino guardiani, vecchi saggi, esploratori e curiosi. Il bosco che costeggia la frana del Vajont è un bosco sull’attenti. Ci sono diverse piante, anche arruffate, si abbracciano assieme molto strette. Camminando mi lascio trasportare dalla malinconia che, all’inizio, questo percorso porta nel cuore, facendomi riflettere ancora una volta sulla immane tragedia del ’63. Un pino silvestre, dai rami e tronco poco lineari, svetta sulla destra e mi rincuoro. È come venga a dire “resistiamo”. Cammino allora con il passo più deciso. Percorro il tratto di strada che via via lascia spazio al panorama. Ma mentre guardo l’orizzonte persa tra i miei pensieri ecco che, in corrispondenza del paramassi che in lontananza protegge la strada principale, compare un albero alto e solitario. Talmente alto che sembra superare le montagne attorno. Lo saluto con un cenno del capo. Ormai il mio passo ha preso il ritmo del fiato. Arrivo alla fine della frana del Vajont a spaziare con lo sguardo, osservo le montagne: si restringono dove c’è il nuovo Ponte Cerentón.

Cammino ancora. Le auto sono rare e sporadiche. Per lasciarle passare mi faccio da parte e così mi avvicino molto di più agli alberi.
Ho il tempo di appoggiare una mano sulla corteccia.

La conosco bene questa strada. So che adesso incontrerò una longilinea betulla sulla sinistra, proprio appena prima di un muro grigliato. In dialetto ertano la betulla si chiama Brédol. La riconosco dal classico manto chiaro. Sembra una sentinella e ho l’impressione che sia abile nel trattenere i segreti. Le affido uno dei miei e proseguo. Raggiungo in poco tempo il punto dove nasce una nuova strada, è una pista forestale, quella che si inerpica per raggiungere la Val Mesazzo. Mi siedo e ascolto il bosco. I numerosi rumori naturali quietano la mia mente. Qui ci sono due alberi custodi. Sono molto grandi e li vedo a colpo d’occhio. Sembrano litigare perché sono diversi. Ognuno avrà un suo punto di vista. Si sentono protettori della montagna. Entrambi hanno pochi rami verso il basso, sono tutti concentrati nella parte alta. Li mandano a cercare la luce e a superare tutti gli altri alberi. Quando spunta la prima casa abitata saluto con la mano e proseguo. Sono arrivata nella frazione di Pinéda. C’è il tempo di fermarmi per mangiare qualcosa e bere un sorso d’acqua. Appena dopo la curva si trovano altre case. Qui abita un immenso noce. I suoi rami sembrano avvolgere il cielo. Di fronte a lui un elegante sempreverde fa da sentinella alla valle e a una casa restaurata. Ma l’albero più curioso deve ancora arrivare: è un singolare abete bianco. Dopo la prima galleria, finito il ponte, sulla destra, se ne sta appiccicato alla roccia, in bilico sul vuoto. Sposto lo sguardo sull’imponente Val Mesazzo e osservo la scaltra creatività della Natura. L’abete bianco (Avedìn in dialetto ertano) non ama essere disturbato. Anche una foto è sempre mal vista. Lo lascio in pace e proseguo. Ma c’è un altro guardiano dell’acqua un po’ più avanti, dopo la seconda galleria: è un albero che sembra nascere dal rivolo stesso. Il ruscello si muove e brontola. I passi della Natura avvolgono incessanti ogni tratto della “strada degli alberi”. Per vedere i grandi saggi riuniti manca poco: in località Prada si apre un grande prato e, vicino a una struttura per il fieno, c’è una radura. I vecchi saggi discutono animatamente. Il vento li sferza volentieri. Si raccontano storie antiche e si aiutano a vicenda. Rami e radici sono condivise. Richiamano volatili, sono tane di insetti e luogo di passaggio per altri animali selvatici. Rimango, leggo la pagina di un libro e poi ritorno sui miei passi. Torno indietro e cerco di scorgere quegli alberi che si sono nascosti all’andata. Mi tornano in mente le parole di Erri De Luca: «Esistono in montagna alberi eroi, piantati sopra il vuoto, medaglie sopra il petto di strapiombi. Salgo ogni estate in visita a uno di loro. Prima di andare via monto a cavallo del suo braccio sul vuoto. I piedi scalzi ricevono il solletico dell’aria aperta sopra centinaia di metri. Lo abbraccio e lo ringrazio di durare».